L’esercizio abusivo della professione nell’ottica del Comparative Law

Introduzione

L’esercizio abusivo di un’attività professionale viene considerato illecito di natura penalistica in numerosi Codici Penali nazionali. La disposizione normativa di riferimento ha una collocazione differente in relazione all’impianto codicistico e al contesto ordinamentale dello Stato in cui inerisce.

In taluni Paesi, il reato di esercizio abusivo di una professione, che, nel nostro ordinamento, trova collocazione tra i reati contro la pubblica amministrazione, precisamente all’interno dell’art. 348 c.p., viene a rinvenirsi nella categoria dei reati contro l’ordine pubblico; in altri, invece, nella categoria dei reati di falso o dei reati contro il patrimonio. Indipendentemente dalla collocazione, il reato de quo, il cui dictat normativo viene riportato, per semplicità espositiva, in lingua inglese, viene sanzionato, ad oggi, con pene irrisorie.

 

L’esercizio abusivo della professione nell’ordinamento italiano

Come abbiamo anticipato, nell’ordinamento italiano il reato è sancito all’interno dell’art. 348 c.p., subito dopo l’art. 347 c.p., disciplinante il delitto di usurpazione di funzioni pubbliche.[1] L’art. 348 c.p. dispone:

“Chiunque abusivamente esercita una professione, per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, è punito con la reclusione fino a 6 mesi o con la multa da euro 103 ad euro 516”.

Come si evince dalla citata disposizione normativa, la previsione di un simile reato ha la prevalente finalità di tutelare qualunque soggetto (chiunque) dall’eventuale, ma probabile possibilità di incorrere in pseudo-professionisti, privi di qualunque titolo accademico e delle capacità necessarie per un adeguato espletamento dell’attività professionale, che si prestino, talvolta a fronte di ingenti guadagni, ad esercitare una mansione che lo Stato, in assenza di propedeutiche ed essenziali caratteristiche, gli impedisce di esercitare. Per evitare un simile, ma fattivo inconveniente, che potrebbe generare ingenti ed, in taluni casi, drammatiche conseguenze, la normativa nazionale in materia prevede che i soggetti, che vogliano esercitare talune professioni, quali quella del medico, dell’avvocato, dell’ingegnere, siano sottoposti a dei ben precisi obblighi. Tra questi si annoverano: il conseguimento di uno specifico titolo di studio presso un ente scolastico o accademico, riconosciuto come tale dall’ordinamento nazionale; il superamento di un apposito esame di stato e la conseguenziale iscrizione in albi od ordini professionali, a seconda dello specifico indirizzo professionale.[2] Dall’enunciazione del bene giuridico tutelato si evince, in maniera evidente, che soggetto passivo del reato sia esclusivamente lo Stato, in quanto unico titolare dell’interesse tutelato dalla norma. In via indiretta, però, la norma viene posta a protezione di ordini professionali e privati, i quali, qualora si affidino totalmente alle capacità tecniche del professionista abusivo, incorrono nel rischio di ledere un proprio diritto soggettivo.[3] Soggetto attivo, d’altro canto, è colui che esercita una professione, qualificabile come “protetta”, in mancanza di uno dei requisiti precedentemente enunciati, ossia titolo accademico, abilitazione professionale od iscrizione al relativo albo, ovvero, pur in possesso di tali requisiti, sia stato, a seguito di un provvedimento della competente autorità, radiato od interdetto.[4] Il delitto ha esclusivamente carattere commissivo e si consuma nel luogo e nel tempo in cui si perviene al compimento del primo atto professionale abusivo. Plausibile appare l’ipotesi del “delitto tentato”, seppure la dottrina prevalente non condivida pienamente tale ideologia. Negli anni, la disposizione normativa ex art. 348 c.p. è stata oggetto di numerosi tentativi di emendamento, tentativi che si son rivelati del tutto vani per l’assenza di una conforme approvazione di Camera e Senato. Solamente nel 2017, su proposta del Ministro Lorenzin, si è addivenuti ad una “leggera” mutazione della norma, che ha visto un aggravamento della sanzione prevista in caso di commissione del reato. In particolare, con la predetta Riforma, si è previsto che il reo venga punito con la pena cumulativa di reclusione e multa (nel periodo pre Riforma, la pena era alternativa), che la sanzione detentiva abbia una forbice edittale compresa tra i sei mesi ed i 3 anni ( prima, fino a sei mesi) e che la sanzione pecuniaria abbia una forbice edittale compresa tra i diecimila ed i cinquantamila euro (prima, multa da centotre a cinquecentosedici euro).[5]

 

L’abusivismo professionale nel vigente ordinamento spagnolo

Il Codice Penale spagnolo prevede, ai sensi dell’art. 403, il reato di esercizio abusivo professionale, che viene a collocarsi tra i delitti di falso. Il citato articolo così sancisce:

“Whoever perpetrates acts inherent to a professionwithout holding the relevant academic qualification issued or recognised in Spain under the laws in force, shall incur the punishment of a fine from six to twelve months. Should the professional activity carried out require an official qualification that accredits the necessary skills and legally entitle the person to practice, and he not hold that qualification, the punishment of a fine from three to five months shall be imposed.

Should the offender also publicy claim the professional status covered by such qualification, a sentence of imprisonment of six months to two years shall ben handed down”.

Il comma 1 del citato articola enuncia la condotta di rilevanza penalistica, che consiste nell’esercizio dell’attività professionale da parte di un soggetto privo del necessario titolo di studio per esercitarla. Il medesimo comma prevede, inoltre, una condotta considerata meno grave, ossia il compimento di atti professionali in assenza di un ufficiale riconoscimento. L’ultimo comma, d’altro canto, si caratterizza per un’ipotesi aggravata, ossia l’abusivo esercizio di una professione in concomitanza all’usurpazione di un titolo. Per la configurazione del reato, si necessita che venga ad espletarsi una specifica professione, senza che il soggetto attivo sia in possesso del corrispondente titolo accademico, non configurandosi, invece, qualora non vengano adempiute le successive formalità burocratiche, quale l’iscrizione in un albo professionale. La disposizione normativa è posta a tutela della collettività, titolare del diritto a che talune attività, soprattutto le più delicate e rischiose per l’altruità integrità, vengano poste a compimento da parte di soggetti anche parzialmente privi di competenza tecnica, ed a tutela dl singolo, che materialmente riceve gli effetti della prestazione abusiva. Si tratta di un reato plurioffensivo, a consumazione istantanea, che richiede il dolo dell’agente e, talvolta, l’abitualità della condotta. La sanzione applicabile muta in relazione alla gravità della violazione commessa: l’assenza del titolo di studio, in tale frangente, determina un disvalore penale superiore rispetto a quello che si avrebbe qualora la condotta venisse posta in essere in assenza del titolo abilitativo. [6]

  

L’usurpazione di titoli ed investiture onorifiche nell’ordinamento tedesco

Il vigente Codice Penale tedesco prevede, ai sensi dell’art. 132a:

“Whoever, without being authorised to do so: 1. uses domestic or foreign titles of office, academic degrees, honorific titles or public honours; 2. uses the professional designation of “physician”, “dentist”, “psychological psychotherapist”, “child or youth psychotherapist”, “psychotherapist”, “veterinarian”, “pharmacist”, “lawyer”, “patent attorney”, “certified accountant”, “sworn auditor”, “tax consultant” or “tax representative”; 3. uses the title of “publicly appointed expert” or 4. wears domestic or foreign uniforms, official dress or official insignia, incurs a penalty or imprisonment for a term not exceeding one year or a fine.

Designations, academic degrees, titles, honours, uniforms, official dress or official insignia which are easy to confuse with those referred to in subsection (1) are equivalent to those referred to in subsection (1);

Subsections (1) and (2) also apply to official titles, titles, honours, official dress and offcial insignia of the churches and other religious communities under public law;

Objects to which an offence under subsection (1) n. 4, either alone or in conjunction with subsections (2) or (3), relates may be confiscated”.

Il comma 1 del citato articolo punisce, dunque, qualunque soggetto che, senza le necessarie autorizzazioni, assuma, con coscienza e volontà, titoli professionali, qualifiche pubbliche, investiture onorifiche e gradi accademici, ovvero utilizzi gradi ed insegne ufficiali, determinando, nel soggetto passivo, la convinzione di intrattenere rapporti o relazioni professionali con un soggetto realmente qualificato. Il comma 2 sanziona, invece, i soggetti che pongono in essere la condotta penalmente rilevante, di cui al comma 1, nei confronti di chiese e comunità religiose sottoposte alla legge dello Stato. L’ultimo comma dispone che i beni materiali e gli oggetti utilizzati per la commissione dei reati possono essere sottoposti, mediante un apposito provvedimento giudiziario, a confisca. Bene giuridico tutelato è la collettività, al fine di evitare che questa possa imbattersi in soggetti privi di autentiche e veritiere qualifiche professionali. L’art. 132 comma 2, inoltre, prevede un elenco tassativo delle professioni, dal cui esercizio abusivo ne deriva la configurazione del reato, che si presenta come di “pericolo astratto”. La condotta è esclusivamente commissiva ed è plausibile la configurazione del tentativo.[7]

 

L’illegittimo utilizzo di titoli nell’ordinamento francese

Il Codice Penale francese, diversamente da quello italiano, dispone, ai sensi dell’art. 433-17:

L’usage, sans droit, d’un titre attachè à une profession règlementee par l’autoritè publique ou d’un diplome officiel ou d’une qualitè dont les conditions d’attribution sont fixèes par l’autoritè publique est puni d’un an d’emprisonnement et de 15.000 euros d’amende.

Les personnes physiques ou morales coupables du dèlit prèvu a la prèsente section encourent ègalement la peine complèmentaire suivante: interdiction de l’activitè de prestataire de formation professionnelle continue au sens de l’article L. 6313-1 du code du travail pour une durèe de cinq ans”.

La citata disposizione normativa, dunque, punisce, con multa e reclusione, l’uso improprio ed illegittimo di titoli o diplomi professionali, il cui rilascio è disciplinato specificamente dalle disposizioni emesse dalla competente pubblica autorità. Il soggetto attivo, ai sensi del comma 2, può essere sottoposto, oltre alla pena cumulativa di cui al comma 1, alla misura dell’interdizione dell’attività inerente a formazione professionale continua per la durata di cinque anni. Il disposto normativo penalistico richiama l’art. 259 del precedente Codice Penale, che tutelava, tra gli altri, l’usurpazione di titoli nobiliari, ormai desueti nell’ordinamento francese. Il reato viene a configurarsi qualora sussista, nel soggetto attivo, la consapevolezza di fregiarsi di un titolo che la Legge non gli ha attribuito e non la concreta ed effettiva volontà di ingannare il pubblico.[8]

 

L’esercizio abusivo della professione forense nell’ordinamento sloveno

Il Codice Penale sloveno non prevede il generale reato di esercizio abusivo di una professione, ma punisce, ai sensi dell’art. 292, l’esercizio abusivo della professione di avvocato, così disponendo:

Whoever enables another person to perform a profession, activity or function, although knowing that this person has been prohibited from exercising such a profession by the final decision of a court, either under the imposed safety or protection measure of prohibition from exercising occupation or under the legal consequences of the conviction, shall be punished by a fine or by imprisonment of up to one year.”

Il predetto articolo trova collocazione nei reati contro l’amministrazione della giustizia e sanziona chiunque induce o facilita taluno ad esercitare una professione od una determinata attività “riservata”, anche qualora quest’ultimo, pur avendone la qualifica professionale per l’esercizio dell’attività in oggetto, sia sottoposto ad una misura amministrativa interdittiva. Sulla medesima falsariga del Codice sloveno, il Codice Penale croato punisce con la multa o la reclusione sino ad un anno il solo reato di esercizio abusivo della professione di avvocato, collocato anch’esso nella categoria dei delitti contro l’amministrazione della giustizia, che viene a configurarsi qualora un soggetto, in assenza delle dovute autorizzazioni, eserciti, in maniera usurpativa, la predetta attività giudiziaria. [9]

 

Conclusioni

Le misure adottate in taluni Paesi, tra cui quelli citati, si rivelano insufficienti, talvolta inesistenti, per fronteggiare il fenomeno abusivistico, sempre più dilagante e preoccupante in paesi europei e non. Considerati gli interessi in gioco, pubblici e privati, ed il disvalore penale derivante dalle condotte descritte, le pene previste per tale tipologia di reato dovrebbero essere certamente più elevate, principalmente nei Paesi in cui il reato viene punito solamente mediante il pagamento di un corrispettivo economico. Si auspica, dunque, che i legislatori nazionali intervengano con determinazione, emanando delle specifiche normative che possano affievolire, se non del tutto debellare, il reato de quo.


Dott. Saverio Patti

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

- CONTIERI E., Esercizio abusivo della professione, arti o mestieri, in Enciclopedia del Diritto, XV, Milano, 1966.

- DELOGU T., La tutela penale delle professioni legali, in Giurisprudenza completa della Cassazione Penale,Milano, 1994.

- PAGLIARO A., PARODI GIUSINO M., Principi di diritto penale (parte speciale), I delitti contro la pubblica amministrazione, X, 2008.

- PASELLA R., Commento all’art. 348 c.p., in DOLCINI E., GATTA G.L., Codice Penale commentato, IV, Milano, 2015.

- RODRIQUEZ G., Commento al Ddl Lorenzin di riforma all’art. 348 c.p., in Quotidianosanità.it.

- TORRE V., Commento all’art. 348 c.p., in CADOPPA A., CANESTRARI S., MANNA A., PAPA M., Trattato di diritto penale. I delitti contro la pubblica amministrazione. Parte speciale, Milano, 2008.


 



[1] CONTIERI E., Esercizio abusivo della professione, arti o mestieri, in Enciclopedia del Diritto, XV, Milano, 1966.


[2] PAGLIARO A., PARODI GIUSINO M., Principi di diritto penale (parte speciale), I delitti contro la pubblica amministrazione, X, 2008.


[3] DELOGU T., La tutela penale delle professioni legali, in Giurisprudenza completa della Cassazione Penale,Milano, 1994.


[4] PASELLA R., Commento all’art. 348 c.p., in DOLCINI E., GATTA G.L., Codice Penale commentato, IV, Milano, 2015.


[5] RODRIQUEZ G., Commento al Ddl Lorenzin di riforma all’art. 348 c.p., in Quotidianosanità.it.


[6] TORRE V., Commento all’art. 348 c.p., in CADOPPA A., CANESTRARI S., MANNA A., PAPA M., Trattato di diritto penale. I delitti contro la pubblica amministrazione. Parte speciale, Milano, 2008.


[7]  TORRE V., Commento all’art. 348 c.p., in CADOPPA A., CANESTRARI S., MANNA A., PAPA M., Trattato di diritto penale. I delitti contro la pubblica amministrazione. Parte speciale, Milano, 2008.


[8]  TORRE V., Commento all’art. 348 c.p., in CADOPPA A., CANESTRARI S., MANNA A., PAPA M., Trattato di diritto penale. I delitti contro la pubblica amministrazione. Parte speciale, Milano, 2008.


[9] TORRE V., Commento all’art. 348 c.p., in CADOPPA A., CANESTRARI S., MANNA A., PAPA M., Trattato di diritto penale. I delitti contro la pubblica amministrazione. Parte speciale, Milano, 2008.