L'evoluzione del dibattito sulla responsabilità del medico e della struttura sanitaria

La responsabilità medica, quale paradigma della più generale responsabilità professionale, costituisce il risvolto patologico dell’attività sanitaria e nasce da una prestazione inadeguata che ha prodotto effetti negativi sul diritto alla salute del paziente.

In tema di responsabilità medica, dopo un accesso dibattito giurisprudenziale, il legislatore è intervenuto dapprima con l’art. 3, primo comma, del decreto legge n. 158 del 2012, convertito in legge n. 189/2012 (d.l. Balduzzi) e successivamente con l’approvazione della legge n. 24 del 2017 (legge Gelli-Bianco).

Premesso ciò, ripercorriamo l’evoluzione del dibattito sulla responsabilità medica fino alla recente presa di posizione del legislatore con la legge del 2017.

Il regime di responsabilità del medico è stato oggetto di contrasto in dottrina ed in giurisprudenza in relazione alla configurazione del tipo di responsabilità sussistente in ambito medico. A tal proposito, è bene chiarire che il riconoscimento della natura contrattuale od extracontrattuale del medico produce rilevanti conseguenze sul piano pratico-applicativo, in particolare sul piano della prescrizione (dieci anni nel caso di responsabilità contrattuale ex art. 2946 c.c. e cinque anni nel caso di responsabilità aquiliana ex art. 2947 c.c.) e sul fronte probatorio in quanto, nella responsabilità contrattuale, colui che agisce in giudizio deve provare la fonte dell’obbligo, il danno, il nesso causale fra danno lamentato ed inadempimento allegato senza dover fare alcunché in relazione al relativo coefficiente psicologico (è invece il debitore a dover provare di aver correttamente eseguito la prestazione e che gli esiti nefasti siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile ex art. 1218 c.c.), mentre nelle ipotesi di responsabilità extracontrattuale il danneggiato ha l’onere di provare il danno di cui chiede il ristoro, il nesso causale fra danno lamentato e illecito allegato, il fatto illecito, nonché la colpa o il dolo del danneggiante, salvo le ipotesi di responsabilità oggettiva o aggravata. Inoltre, la responsabilità contrattuale importa la risarcibilità del solo danno prevedibile nel tempo in cui è sorta l’obbligazione (salvo che l’inadempimento o il ritardo dipenda da dolo ex art. 1225), mentre la responsabilità extracontrattuale importa la risarcibilità sia dei danni prevedibili sia dei danni imprevedibili.

Infine, mentre l’illecito aquiliano considera ristorabili soltanto le “lesioni” vale a dire i comportamenti che arrecano un peggioramento al bene protetto, l’inadempimento contrattuale, ammette il risarcimento anche delle condotte “non migliorative”.

In passato si era affermato che l’obbligo di cura del sanitario poteva trovare fondamento in un contratto diretto con il paziente, in una fonte legale oppure nel rapporto di lavoro alle dipendenze di una struttura sanitaria. In quest’ultimo caso, il paziente stipula con la casa di cura un contratto atipico, denominato contratto di assistenza sanitaria, e viene affidato ad un medico dalla stessa dipendente. È evidente, dunque, la dicotomia esistente tra la parte formale del contratto di cura e il soggetto che effettivamente esegue la prestazione pattuita con la conseguenza che sulla natura della responsabilità del medico dipendente è sorto un significativo dibattito.

L’orientamento tradizionale ravvisa in capo al medico dipendente della casa di cura una responsabilità di tipo extracontrattuale per i danni cagionati dalla sua attività sanitaria, essendo il medico estraneo al rapporto contrattuale intercorso tra la stessa casa di cura e il paziente. Tale orientamento evidenziava in primis che la responsabilità contrattuale presuppone la necessaria esistenza di un contratto, accordo che nel caso di specie non interveniva tra paziente e medico, ma solo tra il primo e la struttura ospedaliera. Si affermava che il paziente instaura un rapporto effettivo soltanto con l'ospedale, mentre i medici curanti effettuano la prestazione perché legati all’ente ospedaliero da un rapporto di impiego, non già in virtù di un vincolo contrattuale con il paziente.

Un secondo orientamento, tuttavia, ravvisò una serie di rilievi critici: a) pur in assenza di un contratto formale, il medico dipendente dalla casa di cura non può essere considerato, rispetto al paziente, un quisque de populo che senza titolo si ingerisce nella sfera giuridica altrui; b) è stato evidenziato che l’art. 2043 c.c. ha ad oggetto i soli comportamenti causativi di un danno, ossia i comportamenti peggiorativi, lesivi, offensivi, non consentendo di sanzionare i comportamenti meramente non migliorativi; c) l’inquadramento della responsabilità del medico sub specie di responsabilità aquiliana reca un concreto vulnus all’effettività della tutela del paziente, in ragione del regime più rigoroso in punto di prescrizione e di onus probandi che da tale inquadramento discende.

In tale contesto interveniva la Corte di Cassazione con la sentenza n. 589 del 1999 con la quale gli ermellini concludevano nel senso che la responsabilità del medico dipendente della struttura sanitaria ha natura contrattuale fondata sul contatto sociale evidenziando i rilievi sopra esposti dal secondo orientamento giurisprudenziale.

I giudici ricorrono alla figura dell’”obbligazione senza prestazione” fondata sul contatto sociale tra il medico che presta la sua attività professionale all’interno della struttura ospedaliera e il paziente che ad essa si rivolge: quando il paziente, che ha stipulato un contratto con la casa di cura, viene affidato dalla stessa alle cure di un medico, a sua volta legato all'ente ospedaliero da un contratto di lavoro dipendente, sorge un contatto sociale qualificato desumibile dalla formulazione aperta dell’art. 1173 c.c., ossia un rapporto contrattuale di fatto, che obbliga il medico a tenere gli stessi comportamenti specifici cui sarebbe tenuto se fosse egli stesso parte del contratto con il paziente.

La giurisprudenza successiva valorizza la natura contrattuale della responsabilità medica e in particolare la teoria del contatto sociale qualificato. Si afferma che medico e paziente pur non essendo parte di un vincolo contrattuale vero e proprio, non sono paragonabili alle figure classiche del rapporto danneggiante-danneggiato ex art. 2043 c.c.

Nel caso dell’illecito aquiliano, infatti, prima del fatto colposo causativo di danno costoro erano dei perfetti estranei: solo con l’illecito gli stessi entrano in contatto. Nel caso del contatto sociale, invece, i soggetti entrano in relazione già prima del comportamento considerato illecito e in virtù del dovere di solidarietà ex art. 2 Cost., sul soggetto parte forte del rapporto vengono a gravare una serie di obblighi di protezione che non sono prestazionali (per questo sono detti anche obblighi senza prestazione) perché non c’è un contratto a monte, ma sono paragonabili a quelli e ne seguono la disciplina.

Nel dibattito sulla responsabilità medica, interviene il legislatore del 2012 con la legge Balduzzi che all’art. 3 disponeva:

“L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo”.

Il riferimento all’art. 2043 c.c. e dunque al sistema della responsabilità aquiliana determinò incertezza in ordine alla reale natura della responsabilità del medico.

Secondo un’impostazione giurisprudenziale, l’art. 3 co. 1 della legge Balduzzi porta inevitabilmente a dover rivedere l’orientamento giurisprudenziale pressoché unanime dal 1999 che riconduce in ogni caso la responsabilità del medico all’art. 1218 c.c. anche in mancanza di un contratto concluso dal professionista con il paziente.

Secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente, invece, anche dopo l’entrata in vigore della legge Balduzzi la responsabilità medica era da qualificarsi sempre come contrattuale poiché l’art. 3 co. 1 si riferiva esplicitamente ai soli casi di colpa lieve del sanitario che abbia seguito le linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica. La portata necessariamente circoscritta della disposizione in esame, preclude a priori l’effetto di ricondurre in generale la materia della responsabilità medica nell’alveo dell’illecito aquiliano. Anche l’inquadramento della responsabilità dell’ente ospedaliero, autonoma rispetto a quella del sanitario che esegue la prestazione, doveva essere ricondotto nell’ambito della responsabilità contrattuale: l’accettazione del paziente in una struttura pubblica o privata deputata a fornire assistenza sanitaria - ospedaliera, ai fini del ricovero o di una visita ambulatoriale, comporta infatti la conclusione di un contratto di prestazione d’opera atipico di spedalità. La responsabilità dell’ente ospedaliero ha natura contrattuale sia in relazione a propri fatti d’inadempimento sia per quanto concerne il comportamento in particolare dei medici dipendenti, trovando nel caso applicazione la regola posta dall’art. 1228 c.c. (responsabilità per fatto degli ausiliari), secondo cui il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si avvale dell’opera di terzi risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro. In questo caso la responsabilità dell’ospedale o della casa di cura è indiretta, sicchè questa potrà rivalersi sul medico che ha causato il danno (art. 1299 c.c.).

In tale contesto è nuovamente intervenuto il legislatore con la legge n. 24 del 2017 (legge Gelli-Bianco). Le novità introdotte in questo ambito dalla legge n. 24/2017 costituiscono un vero e proprio “cambio di rotta” rispetto alla tradizionale impostazione giurisprudenziale sulla responsabilità medica.

La legge 8 marzo 2017, n. 24, recante "Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie" disciplina fondamentali aspetti del ruolo e delle funzioni del medico, principalmente con l’intento di prevenire il rischio clinico, ridurre il contenzioso sulla responsabilità medica, arginare la fuga delle assicurazioni dal settore sanitario e contenere gli ingenti costi della cosiddetta medicina difensiva.

La riforma affronta e disciplina i temi della sicurezza delle cure e del rischio sanitario, della responsabilità dell’esercente la professione sanitaria e della struttura sanitaria pubblica o privata, delle modalità e caratteristiche dei procedimenti giudiziari aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria, nonché degli obblighi di assicurazione e dell’istituzione del Fondo di garanzia per i soggetti danneggiati da responsabilità sanitaria.

La legge n.24/2017 chiarisce all’art. 1 che la sicurezza delle cure è parte costitutiva del diritto alla salute, la quale assume così un vero e proprio valore costituzionale alla luce dell’art. 32 Cost.e all’art. 6 comma 2 abroga l’art. 3 co. 1 della legge 158/2012 (“Balduzzi”).

Per quanto concerne la struttura sanitaria l’art. 7 comma 1 conferma il precedente orientamento che qualificava di natura contrattuale la responsabilità della struttura ospedaliera.

Per quanto riguarda la responsabilità del sanitario, invece, l’art. 7 co. 3 della legge Gelli-Bianco afferma che:

“L’esercente la professione sanitaria di cui ai commi 1 e 2 risponde del proprio operato ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile, salvo che abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente. Il giudice, nella determinazione del risarcimento del danno, tiene conto della condotta dell’esercente la professione sanitaria ai sensi dell’articolo 5 della presente legge e dell’articolo 590-sexies del codice penale, introdotto dall’articolo 6 della presente legge”.

Dal punto di vista civile viene tracciata una sorta di “doppio binario”, l’art. 7, infatti, stabilisce una netta bipartizione delle responsabilità dell’ente ospedaliero e dell’esercente la professione sanitaria per i danni occorsi ai pazienti.

La struttura sanitaria assume una responsabilità di natura contrattuale ex art. 1218 c.c., mentre il medico, salvo il caso di obbligazione contrattuale assunta con il paziente, risponde in via extracontrattuale ex art. 2043 c.c. La norma dispone che il giudice, nella determinazione del risarcimento del danno, tiene conto della condotta dell’esercente la professione sanitaria ai sensi dell’art. 5 e dell’art. 590-sexies c.p.

L'art. 7 co. 3 cit., secondo l’impostazione prevalente, scioglie qualsiasi dubbio. Tale articolo, infatti, prevede un doppio regime di responsabilità civile, che, da un lato, assoggetta alla responsabilità contrattuale ai sensi degli articoli 1218 e 1228 c.c. soltanto le strutture sanitarie (pubbliche o private) ed i medici liberi professionisti; dall'altro, assoggetta alla responsabilità ex art. 2043 c.c. i medici che svolgano la loro attività all'interno di una struttura, in qualità di dipendenti o ad altro titolo ma comunque "per conto terzi" e non in forza di un rapporto contrattuale diretto con il paziente.

Questo nuovo assetto normativo si pone, dunque, in regime di discontinuità rispetto al passato in cui la giurisprudenza prevalente qualificava la responsabilità del medico come vera e propria responsabilità da contatto sociale di natura contrattuale risalente alla terza delle fonti di obbligazioni previste dall’art. 1173 c.c. diversa dal contratto e dal fatto illecito, e consistente in “ogni altro fatto o atto idoneo a produrle”.

L’art. 5 della legge n. 24 del 2017 definisce, inoltre, le modalità di elaborazione e pubblicazione delle linee guida, risolvendo così il problema postosi sotto il vigore della legge Balduzzi della valenza scientifica delle stesse. L’art. 5 afferma che:

“Gli esercenti le professioni sanitarie nell’esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale, si attengono, salve le specificità del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida pubblicate ai sensi del comma 3 ed elaborate da enti, istituzioni e associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie iscritte in apposito elenco istituito e regolamentato con decreto del Ministro della salute. In mancanza delle suddette raccomandazioni previste dalle linee guida, gli esercenti le professioni sanitarie si attengono alle buone pratiche clinico-assistenziali”.

Il riferimento alle "specificità del caso concreto" (elemento di assoluta novità rispetto alla legge Balduzzi) importa che la mera applicazione delle linee guida non vale, di per sé, ad esonerare dall'obbligo risarcitorio: posto che le linee guida consistono in strumenti dotati di un certo grado di astrattezza, occorre che il medico ne valuti l'applicabilità in concreto, a fronte delle peculiarità del caso sottopostogli, ed eventualmente se ne discosti ove la loro meccanica applicazione sia ritenuta inadeguata al fine terapeutico.

Al fine di ridurre il contenzioso per i procedimenti di risarcimento da responsabilità sanitaria, l’art. 8 prevede l’introduzione di un tentativo obbligatorio di conciliazione a carico di chi intenda esercitare in giudizio un’azione risarcitoria. La domanda giudiziale è procedibile, solo se la conciliazione non riesce o il relativo procedimento non si conclude entro il termine perentorio di sei mesi dal deposito del ricorso.

La riforma introduce, altresì, precisi obblighi assicurativi in capo alle strutture sanitarie ed agli esercenti la professione sanitaria allo scopo di rendere effettiva l’eventuale condanna di tali soggetti al risarcimento dei danni cagionati ai pazienti.

In particolare, è previsto anzitutto l’obbligo di assicurazione per la responsabilità contrattuale (ex artt. 1218 e 1228 c.c.) verso terzi e verso i prestatori d’opera, a carico delle strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private, anche per i danni cagionati dal personale a qualunque titolo operante presso le strutture medesime.

In secondo luogo, si stabilisce l’obbligo, per le strutture in esame, di stipulare una ulteriore polizza assicurativa per la copertura della responsabilità extracontrattuale (ex art. 2043 c.c.) verso terzi degli esercenti le professioni sanitarie, per l’ipotesi in cui il danneggiato esperisca azione direttamente nei confronti del professionista.

Infine, è fatto obbligo di assicurazione a carico del professionista sanitario che svolga l’attività al di fuori di una delle predette strutture o che presti la sua opera all’interno della stessa in regime libero-professionale, ovvero che si avvalga della stessa nell’adempimento della propria obbligazione contrattuale assunta con il paziente, per i rischi derivanti dall’esercizio della medesima attività.

La normativa all’art. 12 consente anche l’azione diretta nei confronti della compagnia di assicurazione da parte del danneggiato.

Infine, si evidenza come la riforma tocca anche la responsabilità medica penale. In questa sede occorre limitarsi a precisare che la legge Gelli-Bianco ha provveduto ad abrogare espressamente l’art. 3 co. 1 del decreto Balduzzi, introducendo nel codice penale il nuovo art. 590-sexies (Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario).

Dott. Massimo Midolo, abilitato all'esercizio della professione forense