Separazione e abbandono del tetto coniugale

Un tema abbastanza frequente che si presenta nel momento in cui due persone decidono di porre fine al loro matrimonio è quello relativo alla gestione della casa coniugale: quando è possibile allontanarsi e quando c’è abbandono.

Una premessa importante riguarda i vincoli che discendono dal matrimonio ovvero l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione. Inoltre, entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia e soprattutto a mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni.

Nel momento in cui la situazione matrimoniale attraversa un periodo di crisi e non esistono possibilità di recupero, la legge non impone di continuare la convivenza con il coniuge e, pertanto, in presenza di valide motivazioni l’allontanamento dalla casa coniugale è legittimo come ad esempio a causa di comportamenti violenti che mettono in pericolo l’incolumità fisica e psichica, l’infedeltà, l’invadenza dei parenti, la mancanza di intesa sessuale ed il comportamento autoritario del coniuge. A questi esempi se ne potrebbero aggiungere tanti altri, sulla cui fondatezza dovrà poi essere il giudice a decidere, valutando a quale dei due coniugi sia da imputare la frattura della comunione familiare.

Il coniuge che abbandona il tetto coniugale deve dimostrare la sussistenza di una di queste cause giustificative dell’allontanamento, provando che lo stesso sia conseguenza di una intollerabilità della convivenza precedente e che a causa della stessa si è dovuto agire con l’abbandono e, a tal proposito, potrebbero essere utili le testimonianze fornite dai genitori o soggetti terzi per dimostrare che l’allontanamento abbia determinato la rottura del matrimonio. In presenza di queste situazioni si potrà, quindi, dire che l’abbandono del tetto coniugale non è la causa, ma l’effetto del venir meno della comunione familiare, ritenendo che la stessa sia da imputare all’altro coniuge.

Qualora uno dei due se ne va via di casa lasciando il coniuge da solo, commette l’illecito comunemente denominato “abbandono del tetto coniugale”, ovvero sia del luogo di domicilio/residenza della famiglia e sia di ogni altro luogo dove si concentra abitualmente la vita della coppia: esso costituisce una “colpa”, perché integra una violazione dei doveri del matrimonio, tra i quali appunto vi è l’obbligo della convivenza e della reciproca assistenza morale e materiale.

L’abbandono può, infatti, rappresentare un illecito civile comportando l’imputazione dell’addebito, con perdita del diritto all’assegno di mantenimento e per di più, in alcuni casi, chi ha abbandonato il tetto coniugale può essere condannato a risarcire i danni nei confronti dell’altro coniuge anche se non viene provata l’esistenza di una relazione extraconiugale del coniuge che ha abbondato la casa familiare; oppure un illecito penale se trattasi del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare ed incorre in questo reato chi decida di non prendersi più cura dei propri familiari, anche non abbandonando fisicamente la casa ma scegliendo di venire meno agli obblighi che derivano dal matrimonio. A tal proposito la legge prevede che, chiunque, abbandonando il domicilio domestico si sottrae agli obblighi di assistenza relativi alla responsabilità genitoriale, o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione sino a un anno o con la multa da 103,00 a 1.032,00 euro.

Il reato de quo può sussistere anche quando il coniuge che abbandona il tetto coniugale continua a provvedere ai mezzi di sussistenza economica della famiglia ma la abbandona moralmente, danneggiando sia la vita del coniuge che dei figli, i quali vengono privati della presenza di una figura genitoriale.

Sul tema è intervenuta la Suprema Corte di Cassazione che, con sentenza n. 12310/2012, ha stabilito che il reato si configura quando l’allontanamento “risulti ingiustificato e connotato da un disvalore etico e sociale”. Ciò significa che se il coniuge non fa venire meno i mezzi di sussistenza ai figli e vi è una giusta causa l’abbandono del tetto coniugale non assume rilevanza penale.

Successivamente con un’ordinanza del 2020 è nuovamente intervenuta precisando che “se l’abbandono della casa familiare avviene in un momento in cui la prosecuzione della convivenza è già divenuta intollerabile a causa del comportamento di entrambi i coniugi, l’allontanamento di uno dei due non può essere considerato motivo di addebito. Il volontario abbandono del domicilio coniugale è causa di per sé sufficiente di addebito della separazione, in quanto porta all’impossibilità della convivenza, salvo che si provi che esso è stato determinato dal comportamento dell’altro coniuge, ovvero quando il suddetto abbandono sia intervenuto nel momento in cui l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata, ed in conseguenza di tale fatto”.

Alla luce di tutto quanto esposto, tenendo conto delle conseguenze civili e penali cui si rischia di andare incontro abbandonando arbitrariamente il tetto coniugale, sarebbe sempre meglio agire con cautela e farsi consigliare da un avvocato esperto in materia.

Dott.ssa Ilenia Vella