Liberi di crearsi una nuova famiglia senza perdere l'assegno divorzile

Assetto rivoluzionario della sentenza della Cassazione SU civile del 6 luglio 2021, n. 32198. Dopo che per decenni l’orientamento affermatosi è stato quello della cessazione del diritto all’assegno di divorzio in seguito all’instaurarsi di una nuova convivenza, oggi, questo, non è più conseguenza scontata: né automatica, né integrale.

Con la pronuncia in parola è stata cassata la sentenza della Corte d’Appello di Venezia n. 470/2016 con la quale, sulla coerente scia dell’orientamento sostenuto da molti anni, si era disposto l’affido condiviso della figlia minore ed escluso l’obbligo dell’ex marito di corrispondere all’ex moglie un assegno divorzile, avendo questa instaurato una stabile convivenza con un nuovo compagno, da cui aveva avuto una figlia.

Il caso è stato devoluto, nientemeno, all’attenzione delle SU per la ritenuta importanza della questione di massima.

La giurisprudenza di legittimità si è, sin dall’introduzione della disciplina del divorzio, preoccupata delle conseguenze che possono derivare alla sorte ed all’ammontare dell’assegno divorzile, dall’instaurarsi di una nuova convivenza da parte del coniuge beneficiario.

Si sono sviluppati tre orientamenti.

Quello più risalente afferma che non vi è cessazione automatica del diritto all’assegno divorzile, ma l’instaurarsi di una nuova convivenza può comportare una rimodulazione, da parte del giudice, del suo ammontare.

Non in netta contrapposizione con questo, il secondo, che afferma la sospensione del diritto per tutta la durata della convivenza.

Il terzo orientamento, che è stato largamente accolto, invece, afferma che l’art. 5 co. 10 della l. n. 898 del 1970 (cd “legge sul divorzio”), che prevede l’effetto estintivo del diritto all’assegno divorzile in seguito a nuove nozze, deve essere applicato analogicamente anche all’ipotesi dell’instaurarsi di una famiglia di fatto.

La ratio, alla base di ciò, è ritenere la convivenza more uxorio il formarsi di una nuova comunità familiare all’interno della quale si stringono nuovi legami di solidarietà, incompatibili con il permanere del godimento dell’assegno divorzile in capo all’ex coniuge.

Viene da questo orientamento valorizzato in modo estremo il principio dell’autoresponsabilità.

Il nuovo rapporto di convivenza è, infatti, fondato su una scelta libera e consapevole; ciò comporta l’assunzione del rischio di una cessazione del rapporto e l’esclusione di ogni residua solidarietà post-matrimoniale con il coniuge, il quale non può che confidare nell’esonero definitivo di ogni obbligo, come si afferma nella sentenza della Cassazione del 3 aprile 2015 n. 6855.

Obiezioni al terzo orientamento ve ne sono comunque sempre state: sotto il profilo dell’equità, in particolare, in seguito al riconoscimento della natura non più solo assistenziale, ma anche compensativa dell’assegno divorzile contenuto nella sentenza della Cassazione SU dell’11 luglio 2018 n. 18287.

Con la sentenza in esame, in primis, si richiede il pre-requisito fattuale indefettibile della mancanza di mezzi adeguati della parte richiedente l’assegno di divorzio. Ciò deve essere inteso nei termini di un effettivo squilibrio economico delle parti, da verificarsi in concreto e dovuto ad una rinuncia a concrete possibilità di carriera e di crescita professionale, all’interno di un progetto comune, a beneficio dell’unione familiare.

Si esclude, poi, l’applicabilità analogica dell’art. 5 della legge sul divorzio, essendoci regolamentazioni diverse a fronte di situazioni eterogenee sul piano del diritto positivo.

Non solo, viene ribadita la duplice natura all’assegno divorzile, come delineata dalla giurisprudenza formatasi a far data dalla sentenza della Corte di Cassazione SU n. 18287/2018 in poi. È, perciò, necessario ricorrere ad una distinzione tra le conseguenze derivanti dall’instaurarsi di una nuova convivenza.

La componente assistenziale viene meno in ragione del principio di autoresponsabilità.

Il criterio compensativo-perequativa, invece, costituendo la stima del contributo dato alla formazione del patrimonio familiare dell’altro coniuge durante il matrimonio, nei termini dell’accettazione, della parte debole, di rinunciare ad occasioni di lavoro o di dedicarsi alla famiglia per facilitare la progressione in carriera del coniuge, non ha ragione di venir meno.

Quest’ultimo è l’aspetto rivoluzionario della sentenza in esame: se si accerta che alla mancanza di mezzi adeguati si associano rinunce o scelte tra vita professionale e lavorativa pregiudicanti le condizioni del coniuge economicamente più debole e non compensate al momento dello scioglimento del matrimonio, il coniuge più debole, benché si sia ricostruito una nuova comunità familiare, avrà, comunque, diritto ad un assegno atto ad operare il riequilibrio tra le due condizioni.

Questione tuttora irrisolta, invece, è la modalità di corresponsione dell’assegno; mal si concilia, infatti, la funzione compensativa, con la periodicità a tempo indeterminato dell’assegno, ma ad oggi non sono state accolte possibili soluzioni a tal proposito.

È auspicabile, però, che i mediatori professionali della crisi familiare, nell’attesa di una riforma, si adoperino per incrementare il ricorso agli accordi di corresponsione temporanea od in un’unica soluzione, che appaiono garantire una pacifica convivenza della pluralità delle formazioni sociali familiari.


Dott.ssa Francesca Canali