Il delitto di autoriciclaggio: profili problematici

La rilevanza del tema vertente il delitto di autoriciclaggio appare abbastanza spinoso, poiché, pone all’attenzione dell’interprete una serie di dubbi ermeneutici circa l’aspetto sia teorico che pratico. Ciò posto, è opportuno effettuare una breve premessa di carattere generale, al fine di dipanare i nodi problematici della materia oggetto di disamina. 

Il legislatore nel 2014 ha rubricato all’art 648 ter cp il delitto di autoriciclaggio, propendendo inizialmente ad escludere la clausola di riserva “Fuori dai casi di concorso nel reato” ex art 648 bis cp; in modo da rendere il soggetto attivo, l’autore del reato presupposto. Accantonato tale intento, è prevalsa l’idea di adottare una fattispecie delittuosa autonoma, espressione di un disvalore ulteriore rispetto al reato base. Tale scelta ha dato vita al reato di autoriciclaggio, le cui caratteristiche sono affini alle precedenti disposizioni delittuose, che affonda le sue fondamenta nella condotta di impiego in attività economiche, finanziarie o imprenditoriali. Quanto premesso, pone l’interprete nella condizione di soffermarsi su ulteriori aspetti di particolare rilevanza, utili ad inquadrare meglio la disciplina.

In primo luogo, sussiste una criticità di fondo o meglio oggettiva, che attiene all’art 648 ter cp. Il problema ha ad oggetto l’esatta valenza che si deve attribuire alle condotte di trasferimento e sostituzione, proprie dell’autoriciclaggio. A ben vedere, una prima tesi esclude che le condotte in esame possano essere ricondotte alle attività previste dalla norma, se non alla condotta di impiego; una seconda tesi, invece, sostiene che il riferimento alle predette attività si adotti a tutte le condotte. Quest’ultima pare sia la soluzione più corretta, in quanto, è maggiormente in linea con la ratio dell’autoriciclaggio, il cui fine è quello di evitare inquinamenti dell’economia legale con l’effetto che la sostituzione o il trasferimento possano confondersi all’interno della prima condotta. A tal riguardo anche la Suprema Corte sposa la linea della tesi di cui sopra, delineando le nozioni di attività economica e finanziaria; nella prima, demanda a quel tipo di attività che si estrinseca nella produzione di beni e nella fornitura di servizi come previsto dall’art 2082 cc, mentre nella seconda, riconduce tutto all’art 106 del TUF. La Cassazione, inoltre, precisa che le condotte oggetto di autoriciclaggio devono essere in grado di ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa, manifestata proprio dalla capacità delittuosa.

Altro aspetto problematico, attiene all’interpretazione della clausola di cui al comma 4. Secondo tale clausola, sono esenti da punibilità le condotte di mera utilizzazione o godimento personale; per cui, l’introduzione del predetto comma ha fatto si che il legislatore circoscrivesse nel perimetro della fattispecie criminosa l’immobilizzazione del profitto conseguito mediante il reato presupposto, precludendo quindi, che il reinvestimento economico potesse in qualche modo inquinare il libero mercato. Peraltro, il campo non appare sgombro da interrogativi come dimostrano gli annessi profili problematici, riconducibili tanto al concorso nell’autoriciclaggio quanto all’inserimento dello stesso nel catalogo dei reati presupposto del dlgs 231/01. In ordine alla fattispecie di concorso nell’autoriciclaggio, si ritiene che la realizzazione plurisoggettiva del delitto faccia da collante nei rapporti tra autoriciclaggio e riciclaggio.

Particolarmente discussa, è l’ipotesi concernente la condotta di impiego posta in essere da un terzo su richiesta dell’autore del delitto base. Ciò comporta che se la prospettiva dell’art 648 ter cp fosse incentrata sul reato proprio, il terzo sarebbe punibile a titolo di concorso nel riciclaggio ma in virtù della clausola di riserva, l’autore del reato presupposto rimarrebbe impunito. Contrariamente, se venisse considerata indifferente la ripartizione dei ruoli, si darebbe luogo ad un concorso nell’autoriciclaggio del terzo con l’annessa applicazione di un trattamento sanzionatorio meno aspro. Sul punto, la Cassazione elabora una soluzione incentrata sulla differenziazione del titolo di reato, dove l’autore del reato presupposto che delega al terzo il compimento di attività che si estrinsecano nell’impiego di proventi delittuosi, risponde di autoriciclaggio; diversamente, il terzo risponde ai sensi dell’art 648 bis c.p. La soluzione prospettata non è altro che il frutto della novella del 2014, in cui l’obiettivo risiede nell’incriminare l’autoriciclatore e non, mitigare le pene per il riciclatore adottando le norme sul concorso ex artt. 110 e 117 c.p. Tuttavia, si assiste ad una vera forzatura del dato normativo, poiché, l’autore del delitto perpetra una condotta prodromica all’impiego, attribuendo al terzo il compimento effettivo della condotta. Pertanto, sarebbe stato più utile adottare lo schema previsto per altre fattispecie, tipo l’infaticidio in condizioni abbandono materiale e morale di cui all’art 578 c.p.

In ultima analisi, meritevole di attenzione è l’inserimento dell’autoriciclaggio tra i delitti presupposto della responsabilità degli enti, avvenuta mediante l’interpolazione dell’art 25 octies del dlgs 231/01. Secondo un primo orientamento, si ritiene che l’interpolazione non debba essere inglobata all’interno del predetto decreto, in quanto, minerebbe il principio di tassatività. Tuttavia, il suindicato orientamento non è corretto, poiché, pone un raffronto con le fattispecie associative previste dagli artt. 416 e 416 bis c.p. Inoltre, in materia di autoriciclaggio, l’ente anziché procedere alla mappatura del rischio penalmente rilevante, mira ad arginare un’ipotetica condotta tipica perpetrata dal soggetto operante nell’organizzazione aziendale. Naturalmente, prima dell’entrata in vigore della L.157/19 quest’ultima tesi era la soluzione esegetica adottata.

Alla luce delle considerazioni che precedono e in ultimo non per importanza, appare utile sottolineare come la complessità del tema preposto presenti anche un problema di diritto intertemporale. La Corte si è pronunciata sul punto, prospettando una soluzione del seguente tenore: nonostante la disposizione normativa di cui all’art 648 ter 1 cp introdotta dalla L.186/14, abbia un legame con il delitto presupposto, ciò non è tale da poter influenzare il disvalore del fatto, poiché, il predetto reato configurava già un fatto tipico per la legge antecedente; per cui, il soggetto attivo non può vantare del diritto a non essere punito per le successive condotte volte allo sfruttamento dei proventi derivanti dall’illecito.


Avv. Lipari Giuseppe